E il movimento nun-te-pago si fa prassi rivoluzionaria…

Posted: Aprile 26th, 2011 | Author: | Filed under: il mondo in sciopero, prassi | Commenti disabilitati su E il movimento nun-te-pago si fa prassi rivoluzionaria…

riceviamo e inoltriamo:

Atene – Attaccate stazioni della metro, danni per centinaia di migliaia di euro
Posted on aprile 25, 2011 by culmine

* occupiedlondon.org/blog

# cenere

Nella sera del 19 aprile, piccoli gruppi di anarchici sono entrati
nelle stazioni metro di Sygrou-Fix e Halandri, ad Atene. Come detto
dai media, hanno distrutto tutte le macchine di vendita e
obliterazione in entrambe le stazioni – i danni sono estimati in
“centinaia di migliaia, forse un milione di euro”, dicono i media.

Atene – Sull’esproprio di libri del 14 Aprile
Posted on aprile 25, 2011 by culmine

* actforfreedomnow.wordpress.com

# cenere

Giovedì 14 aprile c’è stato un esproprio di libri dalla grande
libreria “Protoporia” ad Atene, fatto da dozzine di compagni. Contro
lo sfruttamento dei padroni, il ricatto del mercato e del denaro,
abbiamo scelto di risolvere le nostre necessità in questo modo.
Durante l’azione sono stati lanciati volantini che dicevano:

“TUTTO CIO’ CHE VIENE RUBATO CI APPARTIENE”

“ESPROPRIO QUI E ORA DELLA SOCIETA’ DEL MERCATO”

“DISTRUGGERE L’ALIENAZIONE DELLE RAPPORTI DI MERCATO”

“CONTRO LE LORO CRISI CAPITALISTICHE, OCCUPAZIONI-ESPROPRI-CONFLITTI,
AZIONI INDIVIDUALI E COLLETTIVE”

 


In cammino

Posted: Marzo 22nd, 2011 | Author: | Filed under: general, il mondo in sciopero, prassi | Commenti disabilitati su In cammino

 

Da http://setrouver.wordpress.com/

La sollevazione tunisina e le sue conseguenze hanno reso di nuovo concreta, palpabile, la questione dell’insurrezione. Sicuramente in Tunisia, in Egitto, in Marocco e in Libia, l’insurrezione non è mai stata così attuale. Ma il fatto che gli editorialisti vogliano circoscriverla al ” bacino mediterraneo”, non impedisce che essa coinvolga anche la Francia e tutto ciò che si delimita maldestramente come  Occidente.

Prendere seriamente un’insurrezione vuol dire, tra l’altro,  cercare di scoprire quello che ovunque risuona con essa. Ciò richiede di apprenderla politicamente: tanto affettivamente, che materialmente o tecnicamente. E’ uno degli obiettivi di questo blog. Vedere, descrivere, ciò che succede oggi in Libia, ieri in Tunisia, domani altrove. Riportare, condividere le parole, le immagini, le esperienze che ci toccano.
Noi non siamo dei giornalisti.

Come si organizza la sollevazione? Come si abita il vuoto di potere? Come si organizzano le solidarietà materiali? Come si mangia? Come ci si batte? Come ci si incontra? Quali sono le linee che dividono la reazione dall’insurrezione? E l’insurrezione stessa? Come lottano le donne? Come si sospendono e si mantengono i rapporti sociali preesistenti? Come si pensa, si dice e si vive l’insurrezione? Cosa ci insegna? Cosa annuncia?

« Un’insurrezione,  non sappiamo nemmeno come potrebbe cominciare. Sessant’ anni di pacificazione, di sospensione degli sconvolgimenti storici, sessant’anni di anestesia democratica e di gestione degli eventi hanno indebolito in noi una certa percezione schietta del reale, il senso partigiano della guerra in corso. Per cominciare, bisogna riconquistare questa percezione. »

Per il momento abbiamo scelto di trascrivere quasi tali e quali i racconti che ci fanno i nostri compagni presenti sul posto. Giorno dopo giorno e con tutto ciò che possono contenere a livello di aneddoti, di errori o di contraddizioni. Bisognerà, in un secondo tempo, riprendere, correggere, riorganizzare tutto questo materiale. Invitiamo tutti quelli che vogliono condividere ciò che vivono, da dove stanno lottando, a contattarci.


E I GRECI GRIDANO: “NON TI PAGO!”

Posted: Marzo 7th, 2011 | Author: | Filed under: il mondo in sciopero, prassi | Commenti disabilitati su E I GRECI GRIDANO: “NON TI PAGO!”

"aooooooo ,, io nun te pago" il Bufalo

da: http://crisis.blogosfere.it/2011/03/e-i-greci-gridano-non-ti-pago.html
E I GRECI GRIDANO: “NON TI PAGO!”

In un’emulazione del grido di Eduardo De Filippo all’attonito Peppino, i greci hanno lanciato il movimento “Non ti pago!”.

Una rivolta del portafoglio che parte dalla disobbedienza civile, e sta diventando rivolta vera e propria. Le automobili passano ai caselli autostradali senza fermarsi a pagare il pedaggio, le biglietterie della metropolitana vengono sigillate da buste di plastica, persino i medici aiutano i pazienti a non pagare i ticket per le visite ambulatoriali. Tutto è partito da un’iniziativa di pendolari che hanno bloccato un casello dell’autostrada ad Atene, e ora l’aggratis generale si sta diffondendo per tutta la Grecia.

Gli attivisti dichiarano che i cittadini non hanno alcuna intenzione di pagare il prezzo della crisi causata dalla corruzione e dal malgoverno, e dopo i drammatici aumenti delle tasse e i tagli a stipendi e pensioni da qualche parte devono pur risparmiare. L’opposizione cavalca la protesta, mentre il governo accusa i responsabili di non accontentarsi di attuare una disobbedienza civile, ma di voler trascinare e costringere altri a fare altrettanto.

Il primo ministro Papandreu osserva sconsolato che i greci non si smentiscono mai, e che lungi dal rappresentare un’iniziativa rivoluzionaria, questa protesta non è che un’altra naturale conseguenza della diffusa cultura dell’illegalità, dell’evasione, della furberia che caratterizza il popolo greco.

Insomma, una faccia una razza.

altro articolo sullo stesso argomento: http://informarexresistere.fr/io-non-paghero-impazza-in-grecia.html

da: http://denplirono.wordpress.com/

pedaggio autostrada


Desert guerrilla. Su network, socialismi e insurrezioni.

Posted: Marzo 1st, 2011 | Author: | Filed under: foto, general, il mondo in sciopero, prassi | Commenti disabilitati su Desert guerrilla. Su network, socialismi e insurrezioni.

By Istituto Benjamenta

Scorrendo i commenti più o meno autorevoli sull’insurrezione in corso nei paesi del Maghreb, tra le reazioni maggiormente diffuse troviamo quella che consiste nello stupirsi positivamente del fatto che Internet e i vari apparati teconologici che vi sono connessi abbiano potuto svolgere un ruolo nelle sollevazioni in Tunisia e in Egitto. Noi ci stupiamo dello stupore, se ci passate il gioco di parole. E i gridolini di entusiasmo dei devoti del socialismo dei flussi capital-governamentali (libera traduzione dell’ideologia del social network) che scrivono su Il Manifesto o su La Repubblica ci appaiono volta a volta o stupidi oppure in malafede. Per non parlare del misto di crassa ignoranza e cattivissima fede di molti media che ambiscono a influenzare i “movimenti”.
Tutti sanno quali sono le origini della Rete. Essa non nasce in qualche recondito anfratto in cui si era rifugiata l’ultima comunità hippie-libertaria degli USA e nemmeno come mero strumento economico susseguente alla controrivoluzione neoliberale. Internet nasce nei laboratori dell’esercito americano come approntamento di una macchina da guerra adeguata ai flussi deterritorializzanti della globalizzazione rampante e ai campi di battaglia nomadici che si annunciavano con fragore alla fine del secondo millennio. La Rete, dunque, prima di ogni altra cosa nasce come un’arma che si installa pesantemente dentro quella che è corretto chiamare “guerra civile planetaria”, una macchina da guerra che permette di mantenere la comunicazione tra i combattenti anche quando le normali vie di comunicazione sono distrutte o impraticabili, non solo, essa si è sviluppata sempre più come parte dell’armamentario controinsurrezionale che fa leva sul dare o nascondere notizie, sul mostrare o no delle immagini, sull’intossicazione delle informazioni e così via. La hanno anche chiamata Netwar. E lo è rimasta ovviamente, una macchina da guerra, anche nei suoi sviluppi ulteriori e apparentemente difformi che si sono installati in quanto megafabbrica globale del capitale cosiddetto cognitivo. La produzione e il formattaggio delle soggettività permesso dai dispositivi cibernetici à la Facebook cosa altro può essere se non una strategia di guerra disposta contro ogni presenza ingovernabile?
In ogni caso, siccome rimaniamo ben convinti che l’economia sia una politica e che la politica sia la continuazione della guerra con altri mezzi, non ci meravigliamo affatto che in uno degli apici della crisi globale della governamentalità la macchina da guerra cibernetica sia stata appropriata, deviata e profanata dalle forze insurrezionali. Il fatto che Internet e le sue differenti modalità cibernetiche di disporsi dentro e sul mondo possano essere state utilizzate dagli insorti del Mediterraneo non ha nulla di stupefacente: da sempre i ribelli vanno a prendersi le armi là dove sono e dal saccheggio di una santabarbara piena di fucili a quello dei social network passa solo una differenza di grado. D’altra parte la stessa guerriglia irakena ne ha già fatto buon uso nel conflitto asimmetrico che la oppone alle forze imperiali. Il fatto invece che in Occidente i “movimenti sociali”, sino ad ora, non siano stati in grado quasi mai di utilizzare Internet se non come luogo di formazione di opinione pubblica ci parla più della loro scarsissima capacità di pensare strategicamente che di altro. Ci parla dell’impotenza dei movimenti sociali che si vogliono mantenere sempre al di qua dell’insurrezione. Purtroppo per i suoi miserabili tattici – e per la fortuna dei movimenti – siamo gia al di là
Se dunque vi è una prima lezione da prendere rispetto all’uso delle tecnologie informatiche da parte delle insurrezioni mediterranee, essa consiste in ciò: Internet e ogni dispositivo cibernetico non ha alcuna valenza intrinseca in termini “liberatori” , ne ha invece una pratica che è quella di essere un’arma del nemico momentaneamente espropriata dai ribelli.
La seconda lezione è semplicemente la conferma di una intuizione strategica già acquisita dalle lotte metropolitane degli ultimi anni: il conflitto morde se colpisce la governance capitalistico-cibernetica nella sua dinamica essenziale, ovvero sulla circolazione dei flussi. I flussi, bloccati o distrutti, siano essi consistenti in merci materiali o in informazione, sono del tutto equivalenti. Se il capitalismo tende a sopprimere o a diminuire il più possibile il tempo di produzione di un “oggetto” qualsiasi – che sia ad esempio la durata del gesto di un operaio in fabbrica o di una speculazione finanziaria o quella di una notizia “sensibile” – tramite l’iperaccelerazione del lavoro macchinico o della circolazione nei flussi, le rivolte efficaci sono quelle che riescono non solo a rallentare le macchine o bloccare i flussi, ma a imporre una vera temporalità alle cose e al mondo. Durata piena e abitata contro tempo omogeneo e vuoto, temporalità autonoma contro calendario cibernetico, tempo estatico contro presenza costante, sono tutte declinazioni dell’insurrezione al tempo del crollo della civiltà occidentale.
D’altra parte il blocco dei flussi in quelle terre non è cosa nuova: quando T.E. Lawrence ci narra della guerriglia degli arabi contro i turchi, all’inizio del ‘900, mette al centro esattamente la capacità vincente della guerriglia a colpire non le istituzioni in quanto tali bensì i suoi canali di comunicazione e rifornimento. La terza lezione è anch’essa implicita in ciascuno dei conflitti che hanno punteggiato gli ultimi dieci anni: se il governo ha come mezzo della sua riproducibilità la prevedibilità degli eventi, dunque la loro messa in sicurezza preventiva, ogni rottura nelle maglie degli strumenti con i quali esso provvede a questa opera di securizzazione (e Internet e i suoi derivati ne sono la spina dorsale) deve voler dire l’apertura di un possibile, di un aleatorio che sia incatturabile dagli apparati del governo almeno per un lasso di tempo sufficiente, e che anzi produca una specie di contro-panico, di una paura ritorta verso coloro che ne hanno fatto il principale instrumentum regni.
Non c’è nulla di più inpanicante per il potere che delle immagini di rivolta che improvvisamente fuoriescono dal recinto del prevedibile per divenire contagio. Nulla di più pericolosamente pauroso della potenza di risonanza dei gesti di insurrezione attraverso quei canali che normalmente sono destinati a neutralizzarli fin nella coscienza.

1.continua (forse…)


Da Tunisi: Ben Ali è scappato ma i suoi cani restano…

Posted: Febbraio 27th, 2011 | Author: | Filed under: general, il mondo in sciopero, prassi | Commenti disabilitati su Da Tunisi: Ben Ali è scappato ma i suoi cani restano…

La Tunisia è di nuovo in movimento, dopo la cacciata del presidente Ben Ali a furor di popolo il 14 gennaio, il processo di trasformazione sociale e politica che ha contagiato tutto il mondo arabo e oltre sta continuando con intensità. Infatti nello stesso tempo si susseguono le rivolte e in Egitto,Algeria,Marocco, Yemen, Barhein, Iran, Libano. Sull’altra sponda la Grecia continua ad essere scossa da una febbre antigovernativa inguaribile ed infine in Libia, la guerra civile in corso è allo stesso tempo una rivoluzione politica contro una dittatura corrotta e sanguinaria. Da qui tutto è cominciato e quella che è stata definita con malafede orientalista “la rivoluzione dei gelsomini” è in realtà un movimento destituente che lotta per diventare rivoluzione politica contro le tentazioni di un impossibile ritorno alla normalità. Dal 25 febbraio le piazze sono tornate a riempirsi e a chiedere le dimissioni del governo provvisorio del primo ministro di Ben Ali, Ghannouchi, vecchio uomo di regime, bandiera della reazione e del partito dell’ordine. A Tunisi da domenica 20 febbraio la Kasbah della medina, cuore storico e politico di Tunisi è nuovamente occupata. Lo stesso accade nelle altre città della Tunisia, dove le Medina, luoghi centrali delle città sono animate complessivamente da migliaia di persone che affermano di essere “ intenzionate a rimanere fino alla morte, se non si dimetteranno tutti i membri appartenenti all’ ancienne regime e la Tunisia sarà e rimarrà libera”. “Non un passo indietro” è ciò che afferma con forza con questa nuova forma di manifestazione il popolo tunisino. Piazza Tahrir è diventato un metodo, simile al modello del “planton” sudamericano ma con un dinamismo complesso. Ovunque si svolgono proteste e iniziative e di giorno in giorno si moltiplicano gli episodi di conflitto con l’odiata polizia del regime. Il 25 gennaio una nuova manifestazione ha riportato in piazza almeno 200.000 persone, un numero enorme per un piccolo paese come la Tunisia. Nel complesso in tutto il paese si è riversato in strada nuovamente un milione di persone. Nella strada tanti gridano “degage”, e lo accompagnano con un gesto eloquente del braccio, una nuova declinazione del “que se vayan todos” che abbiamo conosciuto durante la prima crisi profonda del modello neoliberale. Quando lo gridano tutti e tutte insieme sembra che un onda attraversi la piazza, le braccia in alto ondeggiano e sprigionano rabbia e gioia. Il ragionamento è semplice ed allo stesso tempo implica una presa di coscienza della difficoltà e della radicalità di un cambiamento rivoluzionario: il potere deve tornare alla base, al popolo. Non è un caso che siano i più giovani a gridare più forte, non hanno molto da perdere ma molto da guadagnare in un paese dove il 40% della popolazione vive con un euro al giorno. Prima il popolo ha riempito la piazza della Kasbah con rivoli di gente che la raggiungevano dai vicoli a piedi e dai viali della circonvallazione, poi migliaia di persone sono ridiscese, uscendo dalla città vecchia trasformate in fortezza dei ribelli, e si sono dirette sotto il palazzo del ministero degli interni, un palazzone grigio sede dei torturatori di Ben Ali. Almeno cinquemila persone hanno rimosso le transenne ed il filo spinato dell’esercito e hanno bloccato pacificamente il palazzo. C’erano ragazzi e ragazze seduti in terra a cantare, altri arrampicati sulle finestre, altri ancora arrampicati sui mezzi militari. Tutti chiedevano con forza le dimissioni immediate di Ghannouchi. Improvvisamente le prime raffiche di mitra in aria, le pietre in risposta, la rabbia e poi una tempesta di sassi e lacrimogeni seguita dai primi spari sulla folla per fare male. A sera c’erano già feriti per strada, barricate in fiamme attorno alla centrale Avenue Bourghiba. Solo a tarda notte ci arriva il bilancio più preciso dei feriti: tre per arma da fuoco, 30 feriti dalle squadre antisommossa ed un morto, un ragazzo di 17 anni di nome Mohammed Hanchi, colpito al collo da una fucilata. Tanto è forte il suono degli spari quanto è assordante il silenzio dei media ufficiali tunisini. Quelli italiani semplicemente brancolano nel buio che sa di malafede. In serata arriva una dichiarazione del presidente ad interim Ghannouchi che annuncia le elezioni previste per luglio ma non risolve il nodo centrale delle proteste, la esigenza di azzerare la classe dirigente legata alla dittatura. Sabato 26 è una giornata di rabbia, la notizia del ragazzo ucciso da un proiettile alla gola pervade la kasbah, l’altra notizia è che il corpo si trova nelle mani dei militari e l’attesa della famiglia diventa l’attesa di tutti. Immediatamente dalle piccole vie del suk centinaia di giovani reclamano il diritto a manifestare la propria rabbia e indignazione. I ragazzi escono dalla medina e appena si affaciano sul viale della città coloniale iniziano i lanci di lacrimogeni. Il riot si allarga a tutta la zona, il gas entra fin dentro la città vecchia, una pioggia di pietre si abbatte sulla polizia che non riesce a respingere i manifestanti. Nel primo pomeriggio un corteo determinato di piu di 5000 persone accompagna il corpo di Mohammed al cimitero. Ai piedi della kasbah la polizia continua ad aumentare di numero, un commissariato viene dato alle fiamme, sembra che tutta la plebe della kasbah sia in strada.

Da quel momento in avanti inizia la guerriglia…

Non si risparmiano colpi di mitra ,gas cs, bombe sonore contro ragazzi armati di pietre. Tra Rue de Palestine e Rue de Paris si organizzano barricate con ogni materiale a disposizione, ma la violenza della polizia non è destinata a fermarsi, tutto ciò che accade ai piedi della kasbah viene documentato dagli stessi manifestanti e immediatamente portato con una corsa disperata tra i vicoli della medina fino al centro di comunicazione che si trova all’ interno della parte occupata. L’interazione tra il reale ed il virtuale è trasparente in questa tenda. Le voci della strada arrivano sul web attraverso le mani di Fatima, giovane operaia della Telecom tunisina, velo sui capelli e una energia incrollabile. Escono verso il resto del mondo dalla bocca di Omar, faccione scuro e dottorato su Edward Said all’università. A questo livello l’intelligenza collettiva si manifesta come un nervo vivo di questa rivoluzione in corso. (http://www.facebook.com/setting.kassaba)

Per ore si organizzano cordoni e barricate per difendere la piazza centrale dove sono situate le tende e il palco della protesta. La prime informazioni confermate parlano di un bilancio di tre morti, mentre voci non confermate parlano di 15 morti. Il dato di fatto è riassunto nell’affermazione di un uomo del presidio che laconico afferma, “Ben Alì è scappato via, i suoi cani sono rimasti qua”.

http://www.youtube.com/watch?v=B6UoCXNkD6E&feature=player_embedded

Nella notte di sabato dopo la violenza della giornata una calma da coprifuoco si stende sulla città, mezzi militari presidiano le strade. Nel frattempo ci arrivano notizie dalle provincie che compongono un mosaico complicato di rivolte in corso anche a Sfax, Sousse, Kasserine ,Gafsa,…

Fare una rivoluzione senza leader e senza armi non è una cosa semplice, è da inventare, ma i tunisini e le tunisine ne vanno orgogliosi nonostante il dramma di queste giornate. La mancanza di centro si traduce in un caos apparente che però nei fatti si dimostra ancora una forza ed una intelligenza collettiva arricchita proprio dalla molteplicità delle forme di vita. Dal presidio e dalla base del sindacato UGTT viene lanciato un appello alla direzione generale dei trasporti di permettere l’utilizzo gratuito dei mezzi pubblici per permettere a quante più persone possibili di raggiungere Tunisi.

Da oggi i media tunisini hanno dichiarato lo sciopero generale,nessuno se ne era accorto che invece stavano lavorando per la Tunisia,…chissà che non ottengano la libertà di poter raccontare cosa sta facendo il suo popolo.

Da Tunisi:

Yara _ Vittorio _ Laura


E ci risiamo…

Posted: Febbraio 14th, 2011 | Author: | Filed under: foto, general, il mondo in sciopero, prassi | Commenti disabilitati su E ci risiamo…

Questa mattina alle ore 6,15 è iniziato lo sgombero della “Stamperia”.
Gli occupanti sono stati tutti identificati e per loro ora scatteranno

le denunce per occupazione abusiva.
Ma la “Stamperia” non è un’occupazione come le altre…
Non è una fabbrica del divertimento alternativo.
Non è una isola felice nella palude della metropoli.
Non è un luogo dove modulare e gestire controcultura.
La “Stamperia” é luogo di conflitto.
Sin dai primi giorni di occupazione, sopra il portone campeggiava uno striscione con scritto:

OCCUPARE PER DARE MEZZI ALLE LOTTE REALI.
Ed è questo il salto di qualità degli stamperini.
Occupare per ORGANIZZARE.
Organizzare conflitto, costituirsi come forza, costruire amicizie politiche.
Questi i semplici obiettivi dello sciopero irreversibile.
Nei giorni scorsi la “Casa dello Sciopero” aveva mandato un forte segnale in questo senso.
Occupazione temporanea per organizzare la giornata dello sciopero.
Centinaia di compagni si sono incontrati scambiandosi saperi e poteri.
Centinaia di compagni hanno consolidato le loro amicizie.
E centinaia di compagni hanno vissuto la giornata del 28 INSIEME…
Ed è proprio questo il terreno dello scontro.
Ci vogliono separati, ognuno nella sua nicchia, rassegnati allo status quo…
Vogliono farci usare le loro parole, vogliono imporci i loro silenzi…
Noi rispondiamo con le nostre comuni.
Basi reali per organizzare conflitto reale.
Rispondiamo con i nostri corpi, con le nostre profanazioni.
La “Stamperia” è creazione esplosiva, è insurrezione, è quella risata che seppellirà il mondo…

Solidarietà alla “Stamperia Occupata”

I compagni di Roma


From Berlin. Sulle ultime attività scioperanti connesse agli sgomberi e ciò che ne consegue

Posted: Febbraio 5th, 2011 | Author: | Filed under: foto, il mondo in sciopero, prassi | Tags: , | Commenti disabilitati su From Berlin. Sulle ultime attività scioperanti connesse agli sgomberi e ciò che ne consegue

In Europa la questione delle metropoli, del loro sviluppo e della politica urbanistica, sta assumendo un peso politico che strategicamente non è possibile trascurare. Berlino, capitale europea che ha vissuto una situazione particolare per la storia che tutti conosciamo ha iniziato orami da qualche anno il suo piano di ristrutturazione. La sua storia recente (la caduta del muro è avvenuta poco più di 20 anni fa) sta facendo emergere ora, sul piano sociale e politico, la violenza dei processi di gentrification. Interi quartieri sono stati letteralmente strappati a persone che proponevano un’alternativa radicale all’abitare metropolitano (come è successo negli anni passati a Kreuzberg), altri stanno per completare la loro trasformazione (come sta accadendo a Friedrichshain, come è già accaduto in Prenzlauer Berg), altri ancora stanno entrando nel ritmo della metropoli che ha bisogno degli spazi alternativi delle sub-culture (come Neukölln). I risultati sono ovunque prevedibili: aumentano gli affitti, i luoghi in cui si concentra l’attività politica vengono sgomberati, le persone cambiano casa, le forme della socialità restano quelle del lavoro e del tempo libero. La presenza di uno stato sociale forte fa il resto: esistenza minima garantita per tutti purchè all’interno di questi parametri. Sei libero di essere punk, anarchico, disadattato, puoi persino sentirti un rivoluzionario, purchè all’interno del comportamento del buon cittadino.

Wir bleiben alle, è una campagna aperta dagli spazi liberati, il tentativo di risposta a questa violenza urbana. Nei giorni passati c’è stato lo sgombero del Liebig 14, Hausprojekt, spazio liberato, che si trova in una zona molto attaccata dal piano di ristrutturazione. La risposta della città, quella politicamente attiva, è stata violenta e rumorosa. Diverse manifestazioni partecipate, tantissime azioni sparse per tutta la città hanno scandito le ore che precedevano e succedevano allo sgombero. Tanti altri spazi, che hanno il difetto di essere politicamente attivi, sono a rischio perchè devono essere riconsegnati nelle mani degli speculatori.

61 poliziotti feriti e 82 arrestati è il bilancio delle notti di rivolta tra il 2 e il 4 febbraio. Diverse le strategie messe in atto: nuovi tentativi di occupazioni simboliche, infopoint con aggiornamenti su azioni e spostamenti della polizia aperti 24 h al giorno, la città in subbuglio per diverse ore. Alla distruzione dei luoghi simbolo del capitalismo (banche, multinazionali, templi del consumo etc.) si sono alternate fasi di scontro diretto con la polizia, accorsa in massa per lo sgombero e presente nelle zone più calde per difendere l’ordine. Le azioni decentralizzate hanno giocato un ruolo importante nella guerriglia: la polizia non avrebbe potuto difendere tutta la città contemporaneamente e non poteva prevedere gli spostamenti, cosa che invece non avviene nei classici cortei. Risultato pratico: se vogliono cambiare la città per farla diventare un tempio del consumo, devono spendere tanti soldi per riparare i danni. È necessario porre questo livello di resistenza. Ma è necessario anche andare oltre. La questione dell’abitare, cioè di come abitiamo gli spazi che attraversiamo diventa così, su un piano tattico sempre più urgente. Difendersi con lo scontro e la distruzione, attaccare con la messa in atto di nuove forme del vivere gli spazi è la posta in gioco che si presenta oggi. Inutile aggiungere che lo spazio per il  dialogo si è ormai chiuso: si può stare da una parte o dall’altra della barricata.


Lettera aperta a proposito della Casa dello Sciopero e della giornata del 28

Posted: Febbraio 2nd, 2011 | Author: | Filed under: prassi, theoria | Commenti disabilitati su Lettera aperta a proposito della Casa dello Sciopero e della giornata del 28

Ci rivolgiamo a coloro che hanno espresso un qualsiasi interesse per la Casa dello Sciopero e a chi ha provato a fare della giornata del 28 qualcosa di diverso rispetto a ciò che doveva essere.

HHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH Read the rest of this entry »


Milano chiama…Roma risponde…

Posted: Gennaio 28th, 2011 | Author: | Filed under: foto, general, prassi | Tags: | Commenti disabilitati su Milano chiama…Roma risponde…


Primo comunicato della Casa dello Sciopero di Milano, via de Amicis 16

Posted: Gennaio 26th, 2011 | Author: | Filed under: general, prassi, theoria | Tags: | Commenti disabilitati su Primo comunicato della Casa dello Sciopero di Milano, via de Amicis 16

Prima assemblea, prima notte

Ieri martedì 24 gennaio alle ore 17:30 è stata aperta la Casa dello Sciopero di Milano.
Gli occupanti si sono subito divisi in gruppi per allestire il posto, portare viveri e assicurarne la difesa.
Alle ore 21:30 ha avuto luogo un’assemblea aperta a cui hanno partecipato occupanti e sostenitori del posto. Si è deciso di andare a incontrare gli scioperanti dell’ATM nei vari depositi durante la giornata di oggi (mercoledì 26). Vari compagni hanno riportato i contatti in corso con altre realtà che si preparano allo sciopero del 28, le quali sono state tutte invitate a passare alla Casa dello Sciopero, per partecipare alle sue attività e proporre iniziative.
Tanti compagni sono rimasti a dormire nel posto, determinati a difenderlo in caso di sgombero.

Programma per oggi

Oggi mercoledì 26, la giornata è iniziata con una colazione davanti al posto, dalle ore 7:30 in poi. Volantinaggio, discussioni, e tanti sorrisi sulle facce dei passanti che vedevano per la prima volta un po’ di vita in una zona ormai quasi completamente colonizzata dalla merce e della sua logica di profitto.
Alcuni occupanti sono andati nei depositi ATM, mentre altri stampavano nuovi volantini e manifesti o preparavano nuovi striscioni.
Questo pomeriggio, l’Assemblea Metropolitana, che da più di tre mesi si incontra in Statale e che recentemente è stata ribattezzata Assemblea per lo Sciopero, avrà luogo nella Casa dello Sciopero. Tutti quelli che hanno voglia di organizzarsi per la giornata del 28 e oltre sono invitati a parteciparvi.

Suggestioni dall’estero

Questa idea della Casa dello Sciopero non è emersa dal nulla. In Spagna (settembre), in Francia (ottobre) e in Portogallo (novembre) sono stati aperti dei luoghi simili prima o durante i grandi scioperi dell’autunno. Due giorni fa è stata sgomberata la Nuova Casa dello Sciopero di Barcellona. La polizia catalana ha dovuto caricare il presidio che si teneva davanti per poter entrare e fare uso della forza contro i 418 occupanti. Nonostante questa sconfitta temporanea, i compagni di Barcellona ci fanno sapere che il morale è alto e che la voglia di continuare sulla stessa strada è forte.
Nonostante le loro differenze, tutte queste Case dello Sciopero che appaiono in Europa hanno un punto in comune. Si pongono la stessa domanda: come continuare lo sciopero oltre la giornata simbolica di sciopero generale? Come rendere lo sciopero permanente? Le risposte si stanno trovando poco a poco tramite queste esperienze. I compagni catalani avevano pubblicato un giornale intitolato Qual è il tuo sciopero? in cui pensavano alle forme possibili di sciopero in un mondo dove il lavoro ha conquistato tutti gli aspetti dell’esistenza, a un punto tale che non si riesce più a discriminare tra i momenti in cui lavoriamo e i momenti che sono ancora nostri. Perché tutto il nostro essere è stato messo al lavoro. Cosi si crea profitto, cosi siamo sfruttati fino ai livelli più intimi delle nostre esistenze: trasformando in valore la vitalità, l’energia, l’imprevedibilità dell’esistenza umana. Dobbiamo prendere in considerazione tutte queste forme di lavoro diffuso, e (ri)trovare modi per bloccarle. Dobbiamo anche considerare come la condizione operaia sia cambiata: i posti di lavoro in cui si è sempre più isolati, le forme aziendali in cui una contestazione tradizionale di tipo sindacale è completamente inefficace, il declino della solidarietà dovuto all’atomizzazione rampante delle singolarità, la messa in concorrenza della parte dei padroni e dei politici tra mano d’opera nata in Italia e mano d’opera immigrata, etc. A chi vede i limiti della forma tradizionale dello sciopero, a chi non crede più nelle favole dei vari sindacati e partiti politici, diciamo: venite a trovarci alla Casa dello Sciopero e vediamo di combinare qualcosa insieme!

Per trovarci:
via de Amicis, 16
MM2 Sant’Ambrogio / Bus 94 / Tram 3, 14