In cammino

Posted: Marzo 22nd, 2011 | Author: | Filed under: general, il mondo in sciopero, prassi | Commenti disabilitati su In cammino

 

Da http://setrouver.wordpress.com/

La sollevazione tunisina e le sue conseguenze hanno reso di nuovo concreta, palpabile, la questione dell’insurrezione. Sicuramente in Tunisia, in Egitto, in Marocco e in Libia, l’insurrezione non è mai stata così attuale. Ma il fatto che gli editorialisti vogliano circoscriverla al ” bacino mediterraneo”, non impedisce che essa coinvolga anche la Francia e tutto ciò che si delimita maldestramente come  Occidente.

Prendere seriamente un’insurrezione vuol dire, tra l’altro,  cercare di scoprire quello che ovunque risuona con essa. Ciò richiede di apprenderla politicamente: tanto affettivamente, che materialmente o tecnicamente. E’ uno degli obiettivi di questo blog. Vedere, descrivere, ciò che succede oggi in Libia, ieri in Tunisia, domani altrove. Riportare, condividere le parole, le immagini, le esperienze che ci toccano.
Noi non siamo dei giornalisti.

Come si organizza la sollevazione? Come si abita il vuoto di potere? Come si organizzano le solidarietà materiali? Come si mangia? Come ci si batte? Come ci si incontra? Quali sono le linee che dividono la reazione dall’insurrezione? E l’insurrezione stessa? Come lottano le donne? Come si sospendono e si mantengono i rapporti sociali preesistenti? Come si pensa, si dice e si vive l’insurrezione? Cosa ci insegna? Cosa annuncia?

« Un’insurrezione,  non sappiamo nemmeno come potrebbe cominciare. Sessant’ anni di pacificazione, di sospensione degli sconvolgimenti storici, sessant’anni di anestesia democratica e di gestione degli eventi hanno indebolito in noi una certa percezione schietta del reale, il senso partigiano della guerra in corso. Per cominciare, bisogna riconquistare questa percezione. »

Per il momento abbiamo scelto di trascrivere quasi tali e quali i racconti che ci fanno i nostri compagni presenti sul posto. Giorno dopo giorno e con tutto ciò che possono contenere a livello di aneddoti, di errori o di contraddizioni. Bisognerà, in un secondo tempo, riprendere, correggere, riorganizzare tutto questo materiale. Invitiamo tutti quelli che vogliono condividere ciò che vivono, da dove stanno lottando, a contattarci.


La nazione è la gabbia del popolo… contro il recupero borghese della storia, w l’insurrezione della plebe

Posted: Marzo 16th, 2011 | Author: | Filed under: general | Commenti disabilitati su La nazione è la gabbia del popolo… contro il recupero borghese della storia, w l’insurrezione della plebe

 

 

ecco la nostra idea di risorgimento…

“Il 12 gennaio Palermo si era sollevata contro i Borbone, il 24 febbraio a Parigi la folla aveva rovesciato la monarchia di Luigi Filippo e proclamato la repubblica, il 13 marzo la rivoluzione si era propagata a Vienna e il 15 la fiammata aveva raggiunto  Berlino e il 17 aveva acceso Venezia.

A Milano , in fondo alla grande pianura, gli effluvi dell’incendio erano giunti prima della notizia.

I giovani, frementi, si aggiravano per le strade assanguati come cani da punta. Fiutavano nell’aria i sentori acri delle fiamme. Annusavano il vento e si chiedevano “dov’è il fuoco, dov’è il fuoco?”.

Una lucidità ansiosa sbarrava gli occhi degli oppressi, una riga di sangue ne screziava l’iride. Da decenni non si faceva altro che tenere asciutte le polveri. Adesso, invece tutti attendevano la mano che le avrebbe incendiate . Nessuno voleva dormire.

La primavera dei popoli aveva ucciso il sonno.” Antonio Scurati , una storia romantica


Una rivoluzione quasi normale

Posted: Marzo 14th, 2011 | Author: | Filed under: general | Commenti disabilitati su Una rivoluzione quasi normale

Vittorio Sergi, Tunisi 11 marzo 2011

Da lunedì mattina la Kasbah di Tunisi è ritornata il centro simbolico del potere dello Stato. Era sempre stato così fino dai tempi del Bey, poi nel XX secolo gli invasori francesi vollero distruggere i simboli della legittimità araba e spostarono il centro del potere fuori dalla città vecchia.

Dopo l’indipendenza Habib Bourguiba, il padre e padrone della nazione lo riportò al suo posto ma tant’è il palazzo del governo di Tunisi venne costruito un po’ più in alto, ai margini di una piazza moderna che voleva simboleggiare il distacco dalle forme di potere tradizionali.

Nemmeno più una scritta, nel luogo in cui decine di migliaia di persone venerdì 25 febbraio chiedevano a gran voce “libertà, dignità e lavoro” oggi sono tornate le mercedes blindate e le guardie del corpo, cancellate le scritte e scomparsi i manifestanti. Si vedono ancora le bandiere rosse con la luna e la stella, ma sono in spalla a dei gioviali turisti, avanguardie di un businness che vuole ricominciare, un settore economico fondamentale per la Tunisia.

E’ stata coperta da un velo di vernice anche la scritta “Hanchi forever in our hearts” dedicata al giovane Mohammed, ucciso dalla polizia nei primi scontri di quel venerdì indimenticabile. E’ su un muro del palazzo del primo ministro, sotto i raggi del sole spunta fuori, nero sotto bianco.

Tanta fretta di coprire i segni della storia recente mostra in realtà come la Kasbah, in modo essenzialmente spontaneo sia stata la manifestazione fisica dell’esistenza di un potere popolare, di una forza costituente che si è manifestata con forza nelle giornate insurrezionali di dicembre e gennaio.

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E I GRECI GRIDANO: “NON TI PAGO!”

Posted: Marzo 7th, 2011 | Author: | Filed under: il mondo in sciopero, prassi | Commenti disabilitati su E I GRECI GRIDANO: “NON TI PAGO!”

"aooooooo ,, io nun te pago" il Bufalo

da: http://crisis.blogosfere.it/2011/03/e-i-greci-gridano-non-ti-pago.html
E I GRECI GRIDANO: “NON TI PAGO!”

In un’emulazione del grido di Eduardo De Filippo all’attonito Peppino, i greci hanno lanciato il movimento “Non ti pago!”.

Una rivolta del portafoglio che parte dalla disobbedienza civile, e sta diventando rivolta vera e propria. Le automobili passano ai caselli autostradali senza fermarsi a pagare il pedaggio, le biglietterie della metropolitana vengono sigillate da buste di plastica, persino i medici aiutano i pazienti a non pagare i ticket per le visite ambulatoriali. Tutto è partito da un’iniziativa di pendolari che hanno bloccato un casello dell’autostrada ad Atene, e ora l’aggratis generale si sta diffondendo per tutta la Grecia.

Gli attivisti dichiarano che i cittadini non hanno alcuna intenzione di pagare il prezzo della crisi causata dalla corruzione e dal malgoverno, e dopo i drammatici aumenti delle tasse e i tagli a stipendi e pensioni da qualche parte devono pur risparmiare. L’opposizione cavalca la protesta, mentre il governo accusa i responsabili di non accontentarsi di attuare una disobbedienza civile, ma di voler trascinare e costringere altri a fare altrettanto.

Il primo ministro Papandreu osserva sconsolato che i greci non si smentiscono mai, e che lungi dal rappresentare un’iniziativa rivoluzionaria, questa protesta non è che un’altra naturale conseguenza della diffusa cultura dell’illegalità, dell’evasione, della furberia che caratterizza il popolo greco.

Insomma, una faccia una razza.

altro articolo sullo stesso argomento: http://informarexresistere.fr/io-non-paghero-impazza-in-grecia.html

da: http://denplirono.wordpress.com/

pedaggio autostrada


Desert guerrilla. Su network, socialismi e insurrezioni.

Posted: Marzo 1st, 2011 | Author: | Filed under: foto, general, il mondo in sciopero, prassi | Commenti disabilitati su Desert guerrilla. Su network, socialismi e insurrezioni.

By Istituto Benjamenta

Scorrendo i commenti più o meno autorevoli sull’insurrezione in corso nei paesi del Maghreb, tra le reazioni maggiormente diffuse troviamo quella che consiste nello stupirsi positivamente del fatto che Internet e i vari apparati teconologici che vi sono connessi abbiano potuto svolgere un ruolo nelle sollevazioni in Tunisia e in Egitto. Noi ci stupiamo dello stupore, se ci passate il gioco di parole. E i gridolini di entusiasmo dei devoti del socialismo dei flussi capital-governamentali (libera traduzione dell’ideologia del social network) che scrivono su Il Manifesto o su La Repubblica ci appaiono volta a volta o stupidi oppure in malafede. Per non parlare del misto di crassa ignoranza e cattivissima fede di molti media che ambiscono a influenzare i “movimenti”.
Tutti sanno quali sono le origini della Rete. Essa non nasce in qualche recondito anfratto in cui si era rifugiata l’ultima comunità hippie-libertaria degli USA e nemmeno come mero strumento economico susseguente alla controrivoluzione neoliberale. Internet nasce nei laboratori dell’esercito americano come approntamento di una macchina da guerra adeguata ai flussi deterritorializzanti della globalizzazione rampante e ai campi di battaglia nomadici che si annunciavano con fragore alla fine del secondo millennio. La Rete, dunque, prima di ogni altra cosa nasce come un’arma che si installa pesantemente dentro quella che è corretto chiamare “guerra civile planetaria”, una macchina da guerra che permette di mantenere la comunicazione tra i combattenti anche quando le normali vie di comunicazione sono distrutte o impraticabili, non solo, essa si è sviluppata sempre più come parte dell’armamentario controinsurrezionale che fa leva sul dare o nascondere notizie, sul mostrare o no delle immagini, sull’intossicazione delle informazioni e così via. La hanno anche chiamata Netwar. E lo è rimasta ovviamente, una macchina da guerra, anche nei suoi sviluppi ulteriori e apparentemente difformi che si sono installati in quanto megafabbrica globale del capitale cosiddetto cognitivo. La produzione e il formattaggio delle soggettività permesso dai dispositivi cibernetici à la Facebook cosa altro può essere se non una strategia di guerra disposta contro ogni presenza ingovernabile?
In ogni caso, siccome rimaniamo ben convinti che l’economia sia una politica e che la politica sia la continuazione della guerra con altri mezzi, non ci meravigliamo affatto che in uno degli apici della crisi globale della governamentalità la macchina da guerra cibernetica sia stata appropriata, deviata e profanata dalle forze insurrezionali. Il fatto che Internet e le sue differenti modalità cibernetiche di disporsi dentro e sul mondo possano essere state utilizzate dagli insorti del Mediterraneo non ha nulla di stupefacente: da sempre i ribelli vanno a prendersi le armi là dove sono e dal saccheggio di una santabarbara piena di fucili a quello dei social network passa solo una differenza di grado. D’altra parte la stessa guerriglia irakena ne ha già fatto buon uso nel conflitto asimmetrico che la oppone alle forze imperiali. Il fatto invece che in Occidente i “movimenti sociali”, sino ad ora, non siano stati in grado quasi mai di utilizzare Internet se non come luogo di formazione di opinione pubblica ci parla più della loro scarsissima capacità di pensare strategicamente che di altro. Ci parla dell’impotenza dei movimenti sociali che si vogliono mantenere sempre al di qua dell’insurrezione. Purtroppo per i suoi miserabili tattici – e per la fortuna dei movimenti – siamo gia al di là
Se dunque vi è una prima lezione da prendere rispetto all’uso delle tecnologie informatiche da parte delle insurrezioni mediterranee, essa consiste in ciò: Internet e ogni dispositivo cibernetico non ha alcuna valenza intrinseca in termini “liberatori” , ne ha invece una pratica che è quella di essere un’arma del nemico momentaneamente espropriata dai ribelli.
La seconda lezione è semplicemente la conferma di una intuizione strategica già acquisita dalle lotte metropolitane degli ultimi anni: il conflitto morde se colpisce la governance capitalistico-cibernetica nella sua dinamica essenziale, ovvero sulla circolazione dei flussi. I flussi, bloccati o distrutti, siano essi consistenti in merci materiali o in informazione, sono del tutto equivalenti. Se il capitalismo tende a sopprimere o a diminuire il più possibile il tempo di produzione di un “oggetto” qualsiasi – che sia ad esempio la durata del gesto di un operaio in fabbrica o di una speculazione finanziaria o quella di una notizia “sensibile” – tramite l’iperaccelerazione del lavoro macchinico o della circolazione nei flussi, le rivolte efficaci sono quelle che riescono non solo a rallentare le macchine o bloccare i flussi, ma a imporre una vera temporalità alle cose e al mondo. Durata piena e abitata contro tempo omogeneo e vuoto, temporalità autonoma contro calendario cibernetico, tempo estatico contro presenza costante, sono tutte declinazioni dell’insurrezione al tempo del crollo della civiltà occidentale.
D’altra parte il blocco dei flussi in quelle terre non è cosa nuova: quando T.E. Lawrence ci narra della guerriglia degli arabi contro i turchi, all’inizio del ‘900, mette al centro esattamente la capacità vincente della guerriglia a colpire non le istituzioni in quanto tali bensì i suoi canali di comunicazione e rifornimento. La terza lezione è anch’essa implicita in ciascuno dei conflitti che hanno punteggiato gli ultimi dieci anni: se il governo ha come mezzo della sua riproducibilità la prevedibilità degli eventi, dunque la loro messa in sicurezza preventiva, ogni rottura nelle maglie degli strumenti con i quali esso provvede a questa opera di securizzazione (e Internet e i suoi derivati ne sono la spina dorsale) deve voler dire l’apertura di un possibile, di un aleatorio che sia incatturabile dagli apparati del governo almeno per un lasso di tempo sufficiente, e che anzi produca una specie di contro-panico, di una paura ritorta verso coloro che ne hanno fatto il principale instrumentum regni.
Non c’è nulla di più inpanicante per il potere che delle immagini di rivolta che improvvisamente fuoriescono dal recinto del prevedibile per divenire contagio. Nulla di più pericolosamente pauroso della potenza di risonanza dei gesti di insurrezione attraverso quei canali che normalmente sono destinati a neutralizzarli fin nella coscienza.

1.continua (forse…)