Posted: Aprile 26th, 2011 | Author: scioperoirreversibile | Filed under: il mondo in sciopero, prassi | Commenti disabilitati su E il movimento nun-te-pago si fa prassi rivoluzionaria…
riceviamo e inoltriamo:
Atene – Attaccate stazioni della metro, danni per centinaia di migliaia di euro
Posted on aprile 25, 2011 by culmine
* occupiedlondon.org/blog
# cenere
Nella sera del 19 aprile, piccoli gruppi di anarchici sono entrati
nelle stazioni metro di Sygrou-Fix e Halandri, ad Atene. Come detto
dai media, hanno distrutto tutte le macchine di vendita e
obliterazione in entrambe le stazioni – i danni sono estimati in
“centinaia di migliaia, forse un milione di euro”, dicono i media.
Atene – Sull’esproprio di libri del 14 Aprile
Posted on aprile 25, 2011 by culmine
* actforfreedomnow.wordpress.com
# cenere
Giovedì 14 aprile c’è stato un esproprio di libri dalla grande
libreria “Protoporia” ad Atene, fatto da dozzine di compagni. Contro
lo sfruttamento dei padroni, il ricatto del mercato e del denaro,
abbiamo scelto di risolvere le nostre necessità in questo modo.
Durante l’azione sono stati lanciati volantini che dicevano:
“TUTTO CIO’ CHE VIENE RUBATO CI APPARTIENE”
“ESPROPRIO QUI E ORA DELLA SOCIETA’ DEL MERCATO”
“DISTRUGGERE L’ALIENAZIONE DELLE RAPPORTI DI MERCATO”
“CONTRO LE LORO CRISI CAPITALISTICHE, OCCUPAZIONI-ESPROPRI-CONFLITTI,
AZIONI INDIVIDUALI E COLLETTIVE”
Posted: Aprile 4th, 2011 | Author: scioperoirreversibile | Filed under: general | 1 Comment »
da un compagno del Mercato Occupato di Bari in trasferta a Manduria Contrada Tripoli.
In questi giorni, in quei luoghi, stanno avvenendo dei fatti che meritano un’analisi approfondita . Partiamo dall’inizio, dai fatti. In Tunisia, migliaia di ragazzi decidono di sfuggire dalle ripercussioni del governo dopo la rivolta che ha causato la fine della dittatura di Ben Alì. Sbarcano nel porto più vicino del continente europeo, Lampedusa. Molti di loro (all’inizio cinquecento, poi altri duemila) vengono dirottati in un centro di identificazione creato per l’occasione tra Manduria ed Oria, costretti ad una permanenza forzata. Sono tutti di sesso maschile, con età compresa tra i venti e i quarant’anni. Il governo italiano, per bocca del suo Presidente del Consiglio, parla di rimpatrio immediato, parla di gente uscita dal carcere e quindi pericolosa, parla di sicurezza. Nel frattempo gli sbarchi aumentano, e mentre la “fortezza Europa” si chiude a riccio di fronte a tale emergenza, l’Italia si ritrova sola nella difficoltà di bloccare l’inedita ondata di migranti, progettando nuovi campi da costruire prevalentemente nel Mezzogiorno. Una premessa di questo tipo fa necessariamente saltare all’occhio tre elementi, cruciali. 1) I migranti in questione hanno alimentato il fuoco della rivolta che ha deposto la dittatura tunisina. 2) Alcuni di questi migranti sono stati in carcere, nel carcere di un paese in cui c’era e continua ad esserci una dittatura, evidentemente per motivi politici. 3) L’Europa, tramite il governo Italiano, esprime la volontà di rimpatriare i migranti in questione, ossia di riconsegnarli nelle mani dei loro aguzzini, il governo retto dall’esercito tunisino. Mi reco per la prima volta a Manduria, per visitare il campo, il 3 aprile. Mi aspettavo di vedere dei profughi. Ho visto dei rivoltosi. Il giorno prima sfondando un cancello hanno trasformato il centro in un luogo aperto, grazie a quel gesto possono ora entrare e uscire liberamente, muovendosi divertiti in una zona militarizzata all’inverosimile. I loro volti sono sorridenti, scherzano tra loro e con gli italiani, prendono per il culo le forze dell’ordine, inneggiano alla caduta di Ben Alì ogni due per tre, mettendoci in mezzo, spesso e volentieri, un vaffa pure per il nostro Berlusconi. Non chiedono acqua e viveri. Vogliono sigarette. In continuazione. Qualche giornalista, con aria afflitta, gli chiede cosa vedano nel loro futuro. Rispondono beffardi: “vediamo, se entro due giorni non ci danno sto permesso perdiamo la pazienza…”. Il permesso. Facciamo un passo indietro. Si tratta di un modulo che servirebbe ad ottenere la possibilità di circolare liberamente nel nostro paese, in attesa di essere riconosciuti rifugiati politici. La maggior parte di loro non sapeva dell’esistenza di questa possibilità, infatti appena messo piede a Manduria hanno subito pensato bene di scappare. E molti di loro evidentemente ce l’hanno fatta (con esiti tutti da verificare), come dimostra il numero non così eclatante di migranti oggi presenti nel centro. Ad un certo punto, però, dall’alto hanno deciso di impedire le fughe, la zona è stata militarizzata all’inverosimile, così pure le stazioni ferroviarie, gli episodi di violenza degli sbirri nei confronti di chi scappava diventavano sempre più frequenti. Così hanno cominciato a distribuire questi moduli, in numeri davvero ridotti (circa una ventina al giorno), che permettevano ai pochi fortunati che li ottenevano di lasciare il centro. Le forze dell’ordine, servendosi addirittura dell’aiuto di alcuni volontari, avevano in questo modo gioco facile nel convincere i detenuti a ritornare in carcere (meglio chiamare le cose per quello che sono), con la promessa di questo modulo che arrivava, si, ma sempre per meno persone. Nel frattempo i cancelli diventavano più alti, e aumentavano le pattuglie di polizia che presidiavano la zona. Nasceva un lager. Ed ecco svelato il paradosso di Manduria. Da una parte le forze dell’ordine, con i loro manganelli e le loro armi, i burocrati ed i partiti dell’ordine, con i loro moduli, i volontari (dell’ordine), con il loro melodrammatico assistenzialismo. Dall’altra questo gruppo di rivoltosi, semplicemente l’elemento umano più sovversivo che io abbia mai visto (e non è che frequenti gentlemen londinesi). I giornalisti, dicevamo, gli chiedono spesso del loro futuro, come per proiettarli in una sfera di realizzazione personale che in realtà è tutta nostra, tutta interna alla visione occidentale. Loro sono invece una presenza vera e viva nel presente, i loro occhi guardano qui ed ora, hanno la piena consapevolezza del loro essere nel mondo e nella storia, ed è una consapevolezza collettiva, non individuale. Vengono da una rivolta. Hanno fatto una rivolta. Queste parole possono sembrarvi enfatiche, vi basterà mezza giornata trascorsa con loro a Manduria per rendervene conto. Vi basterà osservare come questi ragazzi reagiscono nei confronti degli stranissimi personaggi (tutti italiani, ve lo garantisco) che si aggirano intorno al campo. Due, ad esempio, i più tipici: la ragazza in versione “madonna addolorata” che gira consegnando vestiti, e il vecchietto militante politico, che distribuisce volantini informativi. Ho visto con i miei occhi un ragazzo tunisino gettare appresso ad una ragazza italiana (ovviamente sempre scherzando) la busta degli indumenti usati dicendo: “tieni, vestiti, sono per te!”. Non si contano, invece, i volantini che ho calpestato perché giacevano strappati per terra. Molti italiani continuano ad aggirarsi per quei luoghi con la presunzione di aiutare qualcuno in difficoltà. Credo invece che dovremmo ben riflettere se non si tratti di un’ottima occasione per essere aiutati. Noi, storicamente popolo di frustrati e umiliati, che non conosciamo altra forma di approccio al prossimo se non sottoforma di clientela o carità, dovremmo osservare con molta attenzione quei ragazzi che oggi si trovano a Manduria, domani chissà dove. E farci aiutare, una volta per tutte, a costruire una rivoluzione. “Noi abbiamo cacciato Ben Alì, quando voi cacciare il suo amico Berlusconi?” (ragazzo tunisino, Manduria, 3 aprile 2011)